Content strategy: la lezione del NYT per un giornalismo che si distingue
Nel 2014 il New York Times pubblicò un rapporto eloquentemente intitolato “innovation”, nel quale si effettuava una lucida e spietata autoanalisi di alcune debolezze del giornale. La preoccupazione si concentrava soprattutto sul fatto di trovarsi in un “punto morto digitale”, mentre i concorrenti correvano velocemente.
Oggi, a tre anni di distanza, è stato pubblicato un altro rapporto realizzato dal gruppo 2020, composto da 7 giornalisti della redazione, che mostra una situazione nettamente migliorata, anche se in continua evoluzione.
“Journalism That Stands Apart, Il giornalismo che si distingue”, dimostra che molte lacune sono state colmate, che i lettori da web e smartphone sono in crescita, e soprattutto che c’è una content strategy digitale ben definita.
Vediamo in sintesi i punti principali che emergono da questo rapporto; la via da seguire nell’immediato futuro, secondo la redazione del NYT, per offrire contenuti al passo con le nuove tecnologie e con le esigenze di un pubblico in costante mutamento. Ma in ogni caso sempre all’altezza della tradizione e del prestigio della testata.
Qualcosa che valga la pena leggere
Nell’introduzione al report si legge che tra gli oltre 200 pezzi pubblicati ogni giorno sul NYT, ci sono ancora troppi contenuti privi di forza distintiva. Molte risorse dedicate a storie lette relativamente da poche persone. In particolare il riferimento è alle notizie trattate in modo simile da molti altri giornali. Articoli scritti in un linguaggio che esclude i lettori più giovani. Testi densi e istituzionali, quando una fotografia, un video o un grafico sarebbero più eloquenti.
I contenuti dovrebbero invece avere un alto valore per gli abbonati. Offrire ricchezza di elementi visivi e di impatto per differenziarsi dalla massa dell’informazione, ecco il vero obiettivo.
Abbasso la mediocrità! Contenuti di valore e qualità
Il livello qualitativo dei contenuti è fondamentale. Internet è spietata con la mediocrità.
Gli articoli scadenti, dai quali il lettore non si sente arricchito, vengono subito “puniti”.
Quando i giornalisti commettono errori, mancano di sfumature o di chiarezza, l’utente si sposta rapidamente sui social network o su altre piattaforme che offrono gratuitamente la stessa informazione.
Lettori da coinvolgere: l’effetto rete
Il successo dei contenuti e quello della pubblicità si intrecciano.
Agli inserzionisti non basta il semplice “click”. Non è sufficiente che il pubblico arrivi sulla pagina, ma è necessaria anche una buona dose di engagement: il lettore perfetto è quello che si sofferma sui contenuti e torna più volte.
Niente costruisce la fedeltà quanto la sensazione di essere parte di una comunità. I lettori amano parlare con altri lettori, non solo di cibo, sport, libri, viaggi e tecnologia, ma anche di politica e affari esteri.
Da alcuni sondaggi della redazione, emerge che vedere pubblicato un proprio commento a un articolo sul sito, genera nel lettore una soddisfazione che lo porterà a partecipare sempre più alle discussioni. L’effetto rete è il primo motore della crescita dell’informazione digitale, e chiedendo al pubblico di investire del tempo sulla piattaforma si crea un ciclo naturale di fedeltà.
Giornalismo sempre più visivo
Il NYT può vantare un’eccellenza senza pari nel giornalismo visivo. Si può dire che il giornale abbia definito un nuovo standard della narrazione digitale e multimediale, sempre più ricca e coinvolgente. Tuttavia, evidenzia il report, ancora troppi contenuti sono dominati da lunghi testi.
Un esempio del problema: nel 2016 è stato dato spazio a un dibattito relativo alle rotte della metropolitana newyorchese, e molti lettori hanno scritto deridendo la redazione per non aver pensato di pubblicare a corredo dell’articolo una semplice mappa delle linee.
Per un bravo giornalista digitale non deve essere demoralizzante pensare la sua storia potrebbe essere più forte con l’aiuto di un grafico professionista.
Sempre più importante sarà per questo la collaborazione tra reporter di grande autorevolezza, giornalisti visivi ed “editor backfield” esperti nell’affilare le idee e modellare in maniera analitica forma e contenuto delle storie.
Oak, la rivoluzione dell’editing
Il sistema di editing dei quotidiani on-line è ancora stampa-centrico, ridondante, con troppi livelli di copy-editor che apportano modifiche relativamente insignificanti a ogni articolo. Questo ha un costo significativo in termini economici e di tempo, rallenta la pubblicazione e scoraggia gli esperimenti narrativi.
La rivoluzione dell’editing arriva oggi al NYT con un nuovo sistema di gestione dei contenuti, chiamato Oak, che permetterà ai giornalisti di costruire le loro storie anche con elementi visivi, controllando direttamente il risultato finale prima della pubblicazione.
Nuovi formati, nuovi linguaggi
I formati digitali devono essere creati in base alle abitudini digitali dei lettori. Nel caso del NYT questo include e-mail informative “tailor made” inviate al mattino e alla sera, i cosiddetti “briefing”.
Si tratta di vere e proprie mini-versioni digitali di un quotidiano costruito su misura, e figurano tra i prodotti di maggior successo della redazione negli ultimi anni, con un ampio e fedele pubblico. Sfruttano la tecnologia disponibile e la valutazione redazionale per spiegare il mondo ai lettori con un ritmo che corrisponde al loro modello di vita. Questi nuovi formati incoraggiano i giornalisti a usare una scrittura più colloquiale e meno istituzionale. Tra le caratteristiche principali di questo nuovo stile va sicuramente annoverato un maggiore uso della prima persona. Rivolgersi al lettore in tono più diretto e confidenziale crea coinvolgimento, anche in un giornale di grande rigore e tradizione come il NYT.
Ridefinire il successo di una storia
L’editoria digitale, fino a oggi, ha sempre dovuto inevitabilmente cedere alle lusinghe del clickbait, di contenuti cioè creati ad hoc per aumentare il numero di visite.
Un metro di giudizio inevitabile per valutare il successo di un articolo? Non necessariamente secondo il NYT, che vorrebbe infatti ridefinire questo concetto.
Attraverso una approfondita analisi del pubblico, la redazione sta provando a creare una metrica più sofisticata rispetto a quella delle sole pagine visualizzate, che consenta di misurare il valore di un pezzo in base alla sua capacità di attirare i lettori e trattenere gli abbonati.
Le storie di maggior successo e valore spesso non sono quelle che vantano il maggior numero di visualizzazioni, nonostante la diffusa convinzione.
Un articolo con poche migliaia di visualizzazioni, ma che fa sentire il lettore parte di un rapporto, all’interno di una storia che non può trovare da nessun’altra parte, è più prezioso di un pezzo divertente che viene diffuso viralmente, ma produce pochi abbonati.
L’ideale sarebbe poter utilizzare un mix di misure qualitative e quantitative per decidere i temi da sviluppare, ma trovare un equilibrio è difficile.
Se da un lato, sottolineano gli autori del report, non si vuole equiparare il numero di visualizzazioni al valore giornalistico, dall’altro non si può nemmeno tornare ai giorni in cui si era convinti dell’eccellenza di un pezzo per la semplice ragione che era apparso sul New York Times.
La chiusura del rapporto suona come un monito che vale per chiunque si occupi oggi di editoria digitale: “Il compito della direzione del Times è più arduo di quello affrontato dalle precedenti generazioni, a causa della portata della rivoluzione digitale. Eppure la sfida fondamentale rimane la stessa. Dobbiamo essere fermi con i nostri valori e creativi nella loro realizzazione. Dobbiamo agire con urgenza”.